Ci stanno togliendo il cinema?

 
Ci sono tante persone, come me, che – pur non ritenendosi specialiste del settore – da sempre si occupano di cinema. Perché siamo cresciuti con il cinema, perché abbiamo imparato presto a distinguere tra la spazzatura e le opere che avevano qualcosa di autentico da dirci, perché abbiamo maturato la nostra identità personale anche e soprattutto confrontandoci con le "storie degli altri" che il cinema ci metteva a disposizione. Perché il cinema per noi è sempre stato un terreno di esplorazione, di approfondimento, di confronto. È stato anche un terreno relazionale capace di aggregare le persone, di costruire un noi collettivo, assolutamente plurale ma anche assolutamente bene individuato: il noi collettivo dei cinefili, degli amanti del cinema. Ebbene, oggi, nonostante le kermesse mondiali, come la recente Mostra di Venezia, tra quelli come me c’è sempre più la sensazione diffusa che stiamo vivendo l’epoca della scomparsa del cinema. I segnali sono molti.

Per cominciare, dal nuovo anno non saranno più stampate e distribuite le pellicole e il cinema viaggerà solo più sul circuito digitale. La cosa non sarebbe di per sé allarmante, ma i costi di adeguamento per i nuovi standard di proiezione digitale sono decisamente molto elevati e questo metterà fuori gioco i piccoli cinema che sono finora sopravvissuti e darà ulteriore vantaggio alle multisale. Anche qui, la cosa non sarebbe di per sé preoccupante se non fosse che le multisale, il più delle volte, si sono rivelate più attente al profitto derivante dal cinema d’intrattenimento che alla promozione del cinema di qualità. Insomma, per noi spettatori amanti del cinema, ci saranno sempre più film di cui sentiremo parlare e che non riusciremo mai a vedere.

Va detto poi che, da qualche tempo, la distribuzione cinematografica si è razionalizzata intorno a criteri di puro marketing monopolistico, per cui solo un ristretto numero di prodotti cinematografici sono effettivamente distribuiti. Questo significa che non è più il pubblico a scegliere cosa vuol vedere, scegliendo entro un’offerta differenziata, ma è la distribuzione a scegliere cosa, di volta in volta, settimana per settimana, il pubblico può essere ammesso a vedere. Si tratta oltre a tutto di una programmazione uguale dappertutto, per cui è del tutto inutile cambiar cinema. Ogni settimana ci vuole il cartone per i bambini, il film demenziale per i giovanotti che hanno portato il cervello all’ammasso, il film spettacolare, magari in 3d per quelli che al cinema fanno «Oh!», la commedia leggera, l’horror splatter, la fantascienza piena di effetti speciali. Se poi c’è posto, magari, anche qualche film d’autore che sia riuscito a passare le maglie dell’ostracismo. In genere si tratta dei più chiacchierati e non certo dei più interessanti. Oltretutto, i tempi di mantenimento dei titoli in cartellone sono sempre più brevi, talvolta rapidissimi, specialmente per le opere che fanno poca cassetta. Fino a qualche tempo fa, chi avesse perso un film poteva sperare di rifarsi nella stagione estiva, in cui erano riproposte molte opere. Potevamo rifarci delle nostre negligenze. Oggi le stagioni estive non si fanno più, molti degli impianti per la proiezione estiva hanno già chiuso, o chiuderanno presto a causa del sopravvenire del digitale.

Le pecche della distribuzione non sono tuttavia finite. Nel mondo globalizzato, paradossalmente, è diventato sempre più difficile vedere i film di qualità delle cinematografie straniere.  Sono sempre più i film stranieri interessanti che non saranno mai distribuiti, oppure che saranno distribuiti in pochissime copie, in pochissimi cinema, in modo da rendere difficilissima la fruizione. Ciò è davvero grave, perché accade spesso che le cinematografie più interessanti siano proprio le cinematografie periferiche, il cinema ruspante che ha ancora qualcosa di autentico da dire, che è ancora immerso nelle cose, che non ha ancora preso la strada dell’evasione nei mondi onirici para-hollywoodiani. Questa situazione drammatica della distribuzione non potrà che ripercuotersi sui meccanismi della produzione cinematografica. Il cinema d’autore verrà sempre più messo alle corde dall’industria dell’intrattenimento. I giovani autori che abbiano qualcosa di personale da dire troveranno le porte sempre più sbarrate da meccanismi produttivi e distributivi per i quali la qualità è sempre più un criterio del tutto secondario. Oggi che il cinema potrebbe essere, letteralmente, alla portata di tutti rischia di non essere più effettivamente di nessuno.

Il cinema sta diventando sempre più evanescente anche come presenza fisica nelle nostre città. Il cinema che è sempre stato un fenomeno urbano per eccellenza, sta perdendo il suo legame con la vita cittadina, proprio in termini di localizzazione delle sale da proiezione. I cinema si stanno allontanando sempre più dai centri cittadini, stanno diventando sempre più mega insediamenti periferici, in capannoni desolati, nelle «aree tristi» lungo le strade statali. Non puoi più andare al cinema se non hai l’auto e se non sei disposto a fare un bel po’ di chilometri.  I cinema nel centro cittadino erano una dimensione importante, un momento rilevante della vita sociale che forse non abbiamo saputo apprezzare appieno. Di certe cose si capisce appieno il valore solo quando si perdono. Da qualche tempo a questa parte, i più attenti lo avranno notato, in giro non ci sono neanche più i manifesti dei film in programmazione. Anche i manifesti costituiscono un costo da tagliare. Certo c’è Internet, ma i manifesti erano un’altra cosa. Con i manifesti diffusi in giro, era il cinema che ti veniva a cercare.

Anche la cultura cinematografica, più in generale, risente pesantemente di questa situazione. La critica cinematografica (quella che si legge sui giornali, o quella che si trova su Internet) è sempre più asservita alla distribuzione. È difficilissimo oggi trovare un critico che faccia una stroncatura argomentata. Tutti i film sono belli, tutti sono interessanti, magari per i pettegolezzi sugli attori, sui registi, oppure sul contenuto della storia. Capita spesso di leggere critici che non hanno capito, alla lettera, il film di cui stanno scrivendo, oppure che si fermano agli aspetti più superficiali. Certuni non sembrano, ahimè, neanche in grado di raccontare la trama. Insomma, oggi la funzione civile della critica, che sarebbe quella di accrescere la consapevolezza del pubblico, di contribuire ad alzare la qualità delle opere, di dibattere le questioni estetiche e culturali sollevate dalle opere stesse, sta venendo drammaticamente meno. Il critico è sempre più un pennivendolo che scrive per un tot a cartella, impegnandosi a parlare bene di tutti, a trovare sempre la cosa carina e curiosa da segnalare, anche per i prodotti più ignobili.

Il cinema, oltretutto, nonostante abbia saputo guadagnarsi un effettivo posto consistente nella cultura del Novecento, continua a restare fuori dai programmi scolastici, fuori dalle sale dorate della cultura, sempre più confinato come arte minore della società di massa. Certo, in questo quadro anche il pubblico ha le sue responsabilità. Un pubblico dai gusti troppo facili, suscettibili di essere corrotti con prodotti di terz’ordine. Un pubblico casereccio che non ha neppure più voglia di uscire di casa. Un pubblico spilorcio che preferisce vedere quel che passa la tv piuttosto che comperare il biglietto. Un pubblico che ha sempre meno voglia di pensare, di coinvolgersi nelle provocazioni culturali che solo il cinema è in grado di dare. Un pubblico anche maleducato, che va al cinema per fare gazzarra, per sghignazzare con gli amici e non certo per pensare ai contenuti del film. Qui dovremmo forse cercare di assumerci collettivamente qualche responsabilità. Era comodo quando era il cinema che ci veniva a cercare. Ora sembra che siamo noi che dobbiamo andare a cercare il cinema, prima che sia troppo tardi.

Alla ridotta qualità della critica e all’annacquamento della cultura cinematografica, possiamo aggiungere che sono in pericolo anche la memoria e storia del cinema stesso. Pellicole distrutte, mancanza di fondi per il restauro e per la conservazione. Scarsa attenzione alla ricerca storica. Chi volesse oggi fare una retrospettiva di un qualche autore importante sarebbe costretto a giostrarsi tra innumerevoli difficoltà relative al reperimento e alla distribuzione delle pellicole. Sarebbe costretto a giostrarsi tra cassette, CD, DVD, pellicole o formati digitali vari. Dovrebbe trovare qualche volenteroso conservatore, dovrebbe essere disposto pagare costi consistenti. Molte opere fondamentali della storia del cinema sono di fatto precluse per uno spettatore comune. Spesso ci si deve rassegnare ad attendere che trasmettano il film in TV, magari a orari impossibili.

Così il cinema per noi diventerà sempre più un elenco di film che vorremmo vedere e che probabilmente non riusciremo mai a vedere. Il solo fatto che questi film esistono, da qualche parte, e che noi non li abbiamo mai visti, e che noi non potremo mai vederli, ciò costituisce una perdita, una privazione, un vuoto che possiamo anche considerare come un diritto violato, un’ingiustizia. Un patrimonio comune che dovremmo custodire gelosamente, mettere a disposizione di tutti, tramandare alle generazioni future è oggi collocato in un limbo, abbandonato alla casualità, privatizzato, comunque reso difficilmente disponibile. No, questa situazione non è certamente frutto di un complotto. Ma è un dato di fatto che poco per volta, impercettibilmente, ci stanno togliendo il cinema. Il cinema che ci faranno vedere sarà sempre peggiore, sempre più insignificante dal punto di vista culturale. Un cinema che addormenta la mente invece di svegliarla, un cinema che non fa discutere (perché su certi film che vanno per la maggiore non c’è proprio nulla da dire, si guardano e basta, sorseggiando coca-cola e mangiando popcorn che puzza di fritto).

Ci si può rassegnare, oppure si può cercare di reagire in qualche modo. Scrivo queste riflessioni perché nella nostra città si è formato, con la mia totale adesione e partecipazione, un gruppo promotore che sta esaminando la possibilità di costituire un «Circolo del cinema». Forse sarebbe meglio dire «ricostituire» sulla scia di un’illustre tradizione ben radicata nella nostra città. Le difficoltà e gli ostacoli sono molti. Il primo passo è tuttavia quello di verificare se il senso di perdita che ho cercato di esplicitare è diffuso, se c’è davvero un bisogno sentito di cinema, se è ancora possibile, anche in una città come la nostra, aggregarsi intorno alle "storie degli altri" prodotte dal cinema. Se ci stanno togliendo il cinema, come pubblico associato e organizzato, forse possiamo cercare di far qualcosa per riappropriarci di quel che moralmente senz’altro ci appartiene.

Giuseppe Rinaldi 

13/09/2013

 

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